Se usata sugli alimenti, infatti, l’utilizzo di questa tecnologia, è sottoposto alla normativa europea dei novel food che prevede la presentazione agli organi competenti di un’apposita documentazione scientifica corredata da un report che ne stimi i potenziali rischi per la salute. Solo in questo modo è possibile ottenere la necessaria autorizzazione della UE per l’inserimento delle metodologia nella propria linea produttiva. Abbiamo chiesto alla prof.ssa Manzocco di illustrarci le caratteristiche e le applicazioni della soluzione a luce UV-continua e gli sviluppi previsti per questa ricerca.
Quali sono i principali vantaggi di questa tecnica?
Il principale vantaggio offerto da questa soluzione è la possibilità di effettuare la decontaminazione delle acque senza l’utilizzo di sostanze chimiche (in particolare il cloro): le radiazioni UV presentano solamente l’effetto positivo (decontaminante) e non lasciano residui come avviene nel trattamento con cloro.
Esistono invece dei limiti al suo utilizzo?
Per legge, i trattamenti coi raggi UV possono essere utilizzati anche per la decontaminazione dell’acqua potabile e quindi, a maggior ragione, non ci sono problemi per il trattamento di acque destinate al lavaggio. Operativamente, i raggi UV possono produrre ozono che, a sua volta, presenta un ulteriore effetto antimicrobico che si somma a quello delle radiazioni. L’ozono, però, potrebbe essere critico per gli operatori che lavorano sulla linea produttiva. Saranno quindi necessarie apposite misure di sicurezza come l’installazione di appositi aspiratori per vapori. Una situazione, in definitiva, non molto differente rispetto alla lavorazione in un impianto con esalazioni di cloro.
La tecnologia UV-continua è già utilizzata a livello industriale per altri usi: anche l’applicazione alle acque reflue è attuabile da subito?
Sì, esistono già degli impianti per la decontaminazione delle acque reflue che vengono utilizzati per produrre acqua potabile. L’aspetto innovativo della nostra ricerca è l’applicazione di questa tecnologia in una linea di produzione alimentare, dove può rappresentare un’efficace alternativa al tradizionale metodo chimico.
Si tratta di una soluzione che potrebbe essere applicata anche ad altri tipi di impianto alimentare?
Certo, in questo caso è stata utilizzata nei processi di preparazione di Valerianella ma, in realtà, potrebbe essere applicata ad altri impianti di trasformazione alimentare, anche in aziende medio piccole. L’unico requisito è che le acque su cui viene impiegata la radiazione UV siano sufficientemente trasparenti. In ogni caso, anche in situazione di acque troppo torbide o colorate sarà sufficiente un passaggio di filtrazione prima delle operazioni di decontaminazione con la luce.
L’effetto decontaminante, dunque, ha validità sulla maggior parte dei ceppi batterici normalmente presenti?
Esistono naturalmente ceppi contaminanti specifici per Valerianella, che sono diversi da quelli che si potrebbero avere, ad esempio, su altri vegetali: ogni prodotto ha uno specifico corredo microbiologico ma i raggi UV sono sostanzialmente efficaci su tutti i ceppi. Sembra che possano non essere efficaci su alcuni virus, sui quali del resto nemmeno l’azione del cloro è valida.
Sono in programma ulteriori approfondimenti in questo campo?
Assolutamente sì. L’oggetto di questo studio rappresenta solo una piccola applicazione ma, in realtà, ciò di cui ci stiamo occupando è l’applicazione diretta delle radiazioni UV sui vegetali di quarta gamma per la decontaminazione superficiale (ad esempio le mele). Un ulteriore aspetto che stiamo esplorando è l’utilizzo delle radiazioni luminose UV su alimenti molto proteici, in modo da provocare reazioni chimiche che possano modificare le performance tecnologiche delle proteine e, conseguentemente, la struttura stessa degli alimenti. Abbiamo lavorato molto su sistemi con elevato contenuto proteico, come l’albume d’uovo (o prodotti che ne contengono in quantità, come la pasta all’uovo), farine e glutine.