Additivi negli alimenti, quali problemi per la salute?

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Tasty colorful macaroonDottor Carrega, qualora i risultati dello studio dei ricercatori della Georgia State University venissero confermati, quali conseguenze potrebbero esserci per le produzioni alimentari?
Certamente, molto dipenderà dalla conferma delle ipotesi, già in passato sono stati lanciati allarmi relativi ad alcuni additivi da parte di centri di ricerca e da istituti universitari, l’esempio dell’acido citrico è uno dei più evidenti, ma tutto poi è rimasto invariato. Personalmente, non ritengo che un’industria tradizionale sia disposta a cambiamenti immediati, a meno che non vengano introdotte apposite normative che vietino l’utilizzo dei due additivi oggetto di studio.

Il polisorbato 80 e la carbossimetilcellulosa da quali additivi potrebbero essere sostituiti?
Innanzi tutto, occorre conoscere bene quale funzione specifica hanno questi additivi per ogni tipologia di produzione nella quale possono venire impiegati, ma in genere esistono quasi sempre alternative valide. Anzi, occorre precisare ad esempio che non in tutti i gelati essi siano presenti perché, tra l’altro, il loro utilizzo avviene soprattutto in ambiente acido, mentre sovente i produttori preferiscono avere ingredienti con valenze allargate, che si possano impiegare per ogni tipologia di prodotto.

Può farci qualche esempio?
Nel settore della gelateria già adesso si utilizzano additivi alternativi; per fare un esempio, in luogo del polisorbato 80 si impiegano i sucresteri, mentre in alternativa alla carbossimetilcellulosa, che funge da addensante, si possono utilizzare la farina di semi di carrube o quella di guar e di tara, o ancora, un alginato di propilenglicole. E’ molto importante quindi, conoscere l’esatta funzione che assume l’additivo nei diversi prodotti.

Dottoressa Callegari, cosa ne pensa dello studio condotto dai ricercatori della Georgia State University?
Ho trovato l’articolo molto interessante e molto attuale. Questi anni sono caratterizzati sempre di più da una certa pigrizia innata che porta a chiederci perché fare fatica, quando ci sono modi più rapidi per raggiungere lo stesso risultato. E questo modus pensandi ci porta a scegliere cibi pronti ma gustosi, facili e veloci da preparare e che si possano conservare a lungo. Oggi, le patologie legate all’alimentazione non hanno quasi più origine infettiva, ma dipendono dalla grande quantità e scarsa qualità del cibo che viene consumato ogni giorno. Non a caso, l’alimentazione eccessiva o scorretta, è uno dei fattori di rischio cronico-degenerativo tra le principali cause di mortalità nel mondo occidentale, come le malattie cardiovascolari, tumori, diabete, obesità, demenze senili e altro. Il microbiota può essere inteso come un organo metabolicamente attivo nell’organismo umano, date le sue svariate funzionalità, ma è stato dimostrato da altri studi che minare il delicato equilibrio tra la nostra flora batterica e noi stessi a causa di cibi troppi ricchi di ingredienti di laboratorio, coincide con l’aumento di patologie quali l’obesità e il diabete di tipo 2.

CaramelleIn particolare, ritiene che gli additivi, spesso necessariamente utilizzati, peraltro certificati da enti come l’Efsa e l’FDA, possano determinare problemi di sicurezza alimentare?
In Italia sono circa 2500 le sostanze che possono essere legalmente addizionate ai prodotti alimentari. Questo ne comporta un abuso da parte del consumatore che nel corso della giornata, assumendo varie tipologie di alimenti confezionati, ne accumula quantità eccessive, inconsapevolmente. Credo che in determinati casi sia necessario l’uso di additivi certificati, ma anche che si debbano dare molte più informazioni ai consumatori, perché possano comprenderne gli effetti e possano scegliere di avere una dieta varia ed equilibrata per evitare disturbi, seppure lievi, come le ormai tanto diffuse intolleranze e future patologie.

Tecnologicamente, è possibile pensare di sostituirli con sostanze naturali?
Fin dall’antichità, l’uomo combatte la deperibilità di quasi tutte le derrate alimentari per poter soddisfare la necessità di una conservazione duratura e avere a disposizione delle scorte da consumare a poco a poco. Ad esempio, gli antichi Romani essiccavano i vari prodotti della terra, dai legumi ai cereali, oppure per la conservazione delle carni usavano il sale o la mostarda di senape o di miele. Altre tecniche invece prevedevano l’utilizzo di aceto, olio o zucchero. Questi esperimenti portarono l’uomo a scoprire anche la fermentazione che ci ha permesso nel tempo di ottenere ottimi cibi quali il formaggio e gli altri derivati del latte, il pane, i prosciutti e gli altri salumi che integrano la fermentazione con la salatura e talvolta, con l’affumicatura. L’attenzione era sempre rivolta anche alle temperature di conservazione, poiché era l’unica tecnica che permetteva di non modificare in alcun modo il gusto del cibo o alterarne la natura. Con questo, non intendo dire che bisogna tornare al tempo dei romani, l’industria alimentare ha apportato importanti miglioramenti. Sono però altrettanto convinta che debbano essere rispettate le norme che regolamentano ogni passaggio produttivo del cibo: dal campo, all’allevamento, alla raccolta, alla macellazione, elaborazione, confezionamento, conservazione, trasporto e vendita. L’eventuale contaminazione o impoverimento del cibo, può avvenire già in questi passaggi, se corretti e controllati le addizioni tecnologiche successive possono avere un limite maggiore. Esistono poi, alcune sostante naturali che possono sostituire additivi chimici. Un esempio possono essere le pectine aggiunte ai succhi di frutta o alle marmellate, derivano dalle mele, allora perché non utilizzare direttamente il frutto?