Industria alimentare: energia di comunità, nuova “rivoluzione”?

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Il ruolo dell’industria alimentare si affianca idealmente a quello di comunità energetica. Il legame con il territorio e le sinergie tra aziende alimentari possono portare ad una nuova possibile “rivoluzione” energetica. La evoluzione legislativa.

Abbiamo già affrontato il tema delle Comunità energetiche (vedi numero di ottobre 2022), tema sul quale però permangono ancora elementi di incertezza, proprio adesso che le prime esperienze stanno sorgendo un po’ in tutto il territorio nazionale. Vediamo intanto quale è l’attuale stato della legislazione in materia di Comunità energetiche. I soggetti interessati monitorano l’evolversi della situazione, in attesa che venga compiutamente definito il quadro regolatorio e si rendano disponibili le regole operative.

Dopo il Decreto Legislativo 8 novembre 2021,n.199 e la Delibera ARERA (l’Autorità di Regolazione per Energia, Reti ed Ambiente, ente di regolazione per l’energia) del 27 dicembre 2022 n. 727/2022/R/eel ed il Decreto Legislativo 8 novembre 2021,n.199, si attende la pubblicazione del testo definitivo del Decreto del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica sugli incentivi, così come le disposizioni del GSE (Gestore Sistemi Elettrici), seguiranno altre imminenti nuove disposizioni che forniranno gli elementi utili ad indicare il modello di aggregazione più confacente alle reali necessità.

La direttiva comunitaria

La direttiva comunitaria 2018/2001 (RED II) contiene norme volte a promuovere la diffusione dell’energia prodotta da fonti rinnovabili e indurre una maggiore presa di coscienza da parte dei cittadini verso la condivisione delle risorse energetiche. La comunità di energia rinnovabile, nella Direttiva RED II, viene delineata come una persona giuridica fondata sulla partecipazione volontaria e aperta, effettivamente controllata da azionisti o soci che sono persone fisiche, autorità locali, comprese le amministrazioni comunali, o piccole imprese ed il cui scopo principale è offrire ai suoi soci o al territorio in cui opera benefici ambientali, economici o sociali a livello di comunità.

Con il recepimento della Direttiva RED II ad opera del D.Lgs. 199/2021, si è avuta una modifica che incide sulle modalità di implementazione delle Comunità di Energia Rinnovabile nel nostro ordinamento. Nella Direttiva, infatti, è stato precisato che la Comunità energetica può avere al suo interno persone fisiche, PMI o enti locali, comprese le amministrazioni comunali, mentre, secondo l’art. 31 del Decreto di recepimento, a tali soggetti viene conferito in via esclusiva il potere di controllo sulla REC.

L’esistenza delle Comunità energetiche si basa anche sulla capacità di gestire e regolare più flussi elettrici che viaggiano in maniera discontinua e bidirezionale.

Poteri di controllo

Secondo il decreto, l’esercizio dei poteri di controllo riguarda esclusivamente le persone, le Piccole e Medie Imprese, gli enti territoriali e gli enti locali -comprese le amministrazioni comunali, gli enti di ricerca e formazione, gli enti religiosi, quelli del terzo settore e della tutela ambientale nonché le amministrazioni locali contenute nell’elenco delle pubbliche amministrazioni, comunicati dall’Istituto Nazionale di Statistica- che sono ubicati nel territorio dei medesimi Comuni in cui sono ubicati gli impianti di compartecipazione.

Questa modifica non è solo formale, ma anche sostanziale, posto che elencare tassativamente i soggetti che possono far parte di una comunità energetica (RED II), è cosa ben diversa dal precisare chi sono i soggetti che possono avere all’interno della comunità di energia rinnovabile il potere di controllo in via esclusiva (ex art. 31 del D.Lgs. 199/2021). Da questa impostazione deriva, fra gli altri, un quesito rilevante: possono entrare a far parte di una comunità di energia rinnovabile anche altri soggetti che non rientrino nell’elenco tassativo?

Bene, in caso affermativo, la risultanza va letta in combinazione con un altro assunto presente nel medesimo articolo, secondo cui per quanto riguarda le imprese, la partecipazione alla Comunità delle energie rinnovabili non può costituire la principale attività commerciale e industriale, né queste ultime possono realizzare profitti finanziari. E’chiaro, pertanto, che il quadro già piuttosto scarno sotto il profilo dell’inquadramento giuridico va adeguato nella definizione di un assetto normativo e regolatorio che ormai consegna al passato la fase, aperta dal “milleproroghe”, per aprire quella a regime basata sulla cabina primaria.

Autoconsumo e generazione distribuita

La peculiarità del sistema Comunità energetica è comunque l’autoconsumo e questo aspetto può implicare la creazione di una rete intelligente tra edifici ed aziende che possono ottimizzare i loro consumi. Conseguenza pratica di ciò è che la generazione distribuita, agevolata dalle soluzioni di gestione dell’energia e da reti più intelligenti, spingerà verso una nuova necessità di innovazione, in particolare, quella delle micro-reti, raggruppamenti totalmente autonomi, connessi agli impianti di generazione distribuita, per clienti che non sono collegati alla macro-rete.

I progressi nelle tecnologie di accumulo dell’energia e nei modelli imprenditoriali sono un fattore chiave di questa tendenza, soprattutto nel sostenere la generazione distribuita da fonti rinnovabili. Se ne possono notare gli effetti anche a livello residenziale dove l’accumulo dell’energia domestica, per aumentare la flessibilità e l’autonomia delle case, faciliterà l’accelerazione della crescita della microgenerazione utilizzando soluzioni come quelle solari fotovoltaiche. La rete elettrica, all’interno di questo nuovo scenario, costituisce l’“enabler” della transizione.

È, infatti, destinata gradualmente a trasformarsi da rete “passiva”, in cui il flusso di corrente scorre dal luogo di produzione a quello di consumo, a rete “attiva” e “intelligente” – smart grid – capace di gestire e regolare più flussi elettrici che viaggiano in maniera discontinua e bidirezionale. Rispetto alle reti elettriche tradizionali, le smart grid sfruttano al massimo i vantaggi offerti dall’era digitale ed il principio di funzionamento assomiglia molto alla rete internet. Il sistema è in grado di garantire servizi ad alto valore aggiunto per l’imprenditoria, integrazione con grandi centrali e altre tipologie di fornitura di energia, flessibilità nella gestione in relazione con il mercato e nell’espansione delle reti. Questa crescita delle risorse rinnovabili – sia da fonti centralizzate che di distribuzione – metterà un’enorme pressione sulle infrastrutture di rete, e potrà essere realizzata, in modo efficiente, solo con la trasformazione digitale dei servizi energetici.

Povertà energetica e povertà alimentare

Scopo delle Comunità energetiche vuol dire soprattutto mettere a disposizione risorse per migliorare il benessere di tutti, soprattutto di coloro che vivono la cosiddetta “povertà energetica”. La transizione energetica ha un costo e l’attualità dimostra che un lieve aumento del prezzo dell’energia può avere un grave impatto sulla vita quotidiana di milioni di famiglie già in difficoltà finanziarie e dunque occorre garantire una transizione socialmente equa basata su misure, soluzioni e tecnologie che migliorino le condizioni di vita dei più vulnerabili.

Su questo aspetto le comunità energetiche possono offrire, proprio in quanto strettamente legate ai territori, occasione di tutela dei meno abbienti nonché di sviluppo anche occupazionale del contesto in cui insistono. Ma la povertà energetica non significa solo la difficoltà di onorare i costi dell’energia consumata, ma anche sviluppare una più elevata cognizione del bene energetico;  In questo contesto, va evidenziato che formazione ed informazione rappresentano aspetti cruciali e centrali per lo sviluppo delle comunità energetiche, i Comuni ed i territori devono avere la possibilità di aggiornare le proprie competenze ed essere supportati in termini di professionalità, così come i consumatori dovrebbero essere più informati delle opportunità associate alle comunità energetiche oggi.

La creazione di una consapevolezza collettiva basata sui benefici derivanti dall’adozione di questo modello di produzione di energia consentirebbe, infatti, di ampliare sempre più la tipologia e il numero di stakeholder coinvolti, sia pubblici che privati. Consideriamo inoltre il legame tra industria alimentare e fabbisogni sociali; sono tanti i casi di aziende del settore, in particolare quelle legate al territorio, che contribuiscono con azioni concrete al sostegno di soggetti sociali più vulnerabili. E proprio di queste azioni, che contribuiscono alla creazione di un tessuto sociale sostenibile, possono legarsi ai temi energetici e ambientali, in una rete sempre più interconnessa.