Industria alimentare, guardare oltre la crisi

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2014, fine della crisi?
Le prospettive specifiche 2014 indicano, secondo Federalimentare, consumi interni di nuovo stazionari, ma una leggera ripresa della produzione (con incrementi inferiori all’1%), e l’accelerazione dell’export, dato tra l’8 e il 10%. A far ben sperare l’industria alimentare è anche il confronto con l’industria manifatturiera complessiva. Dal 2007 infatti la produzione dell’industria alimentare è scesa del 3,6%, mentre quella manifatturiera complessiva del 24,3%. La fiducia nella ripresa dovrebbe essere confermata nel 2015, anno in cui i consumi alimentari dovrebbero registrare un segno positivo e la produzione e l’export dovrebbero consolidare i dati positivi del 2014. Le aziende punteranno ancora sull’export, sempre più nodo strategico per il settore, soprattutto nei mercati emergenti come i BRIC (Brasile, Russia, India e Cina) e i MINT (Messico, Indonesia, Nigeria, Turchia). Strategici saranno gli accordi WTO di Bali del 7 dicembre scorso, la Presidenza UE nel secondo semestre 2014, Expo 2015, il Tavolo per l’internazionalizzazione tra industria alimentare e Istituzioni come Agenzia ICE e 4 Ministeri competenti (Affari Esteri, Sviluppo Economico, Salute, Politiche Agricole Alimentari e Forestali) per sostenere il food & drink italiano in 12 mercati chiave, ma anche l’edizione 2014 di Cibus a Parma. Non stupisce che il settore abbia un’importante vocazione export oriented: secondo un’analisi Format Research/Federalimentare, nel 2013 in media 1 azienda su 2 (50,9%) ha dichiarato di essere intenzionata a svolgere attività di internazionalizzazione.

Packaging machine food industry

E 1 su 4 ha affermato che i mercati esteri saranno fonte di almeno il 30% dei ricavi. Anche sul fronte occupazione, l’industria alimentare se la cava meglio di quella manifatturiera complessiva e il fatturato espresso per azienda e per addetto è salito in modo molto significativo. Uno studio Excelsior delle Camere di Commercio mostra inoltre che le prospettive di assorbimento di mano d’opera dell’industria alimentare fino al 2017 sono decisamente superiori a quelle di tutti gli altri comparti industriali: 48mila unità, circa il 20% dell’assorbimento complessivo (250mila unità) previsto per l’intero universo manifatturiero. La buona tenuta alla crisi del settore alimentare si riflette anche sui flussi di investimento e nei rapporti con il sistema bancario. Secondo le ultime rilevazioni Format Research/Federalimentare, nell’ultimo biennio, quasi 2 aziende su 3 (59%) hanno effettuato investimenti, contro il 32% del manifatturiero complessivo. Anche per il futuro la propensione ed investire del settore alimentare sarà positiva: nel biennio 2014-15, circa la metà (47%) delle aziende alimentari effettueranno investimenti, contro il 17% del manifatturiero complessivo.

Tasse e attacchi ideologici
Federalimentare punta il dito sulla tassazione considerata eccessiva per le aziende italiane e su quella che viene definita dall’Associazione “l’ingiustificata stagione di attacchi “ideologici” che minano l’immagine, la redditività e la competitività di un comparto strategico per l’economia nazionale”. Il settore, secondo Federalimentare, è stato penalizzato dai recenti aumenti IVA e lo sarà anche dai prossimi nuovi aumenti delle accise su birra e distillati, che mettono a rischio la sopravvivenza soprattutto delle aziende più piccole o quanto meno ne frenano lo sviluppo. Secondo il Presidente di Federalimentare, Filippo Ferrua Magliani, “in una fase recessiva dell’economia se aumenta la pressione fiscale crescono i prezzi, si riducono i consumi e il gettito cala. Continuare a tassare i consumi alimentari, oltre a non produrre gettito per le casse dello Stato, frena le potenzialità del settore in termini di creazione di valore, occupazione e imprenditorialità”. Federalimentare fa sentire la sua voce anche per difendersi dagli attacchi circa l’origine delle materie prime, che secondo il suo Presidente “negano la storia stessa del nostro Made in Italy, fatta di qualità e sicurezza. Questo settore può aiutare il Paese ad agganciare la ripresa, ma avrebbe bisogno di sostegni, non di attacchi che di fatto tolgono respiro al nostro rilancio. Dopo 6 anni di crisi in cui l’industria alimentare ha tenuto duro, difendendo la sua produzione e occupazione, ora deve giustificare il valore aggiunto, l’identità, il messaggio del Made in Italy di cui essa è portatrice di fronte a campagne mediatiche nate per ridurre questo concetto alla mera origine della materia prima, arrivando a denunciare come falso Made in Italy quello di aziende italiane che da sempre utilizzano materie prime importate. E’ una concezione assurda e autolesionista, oltre che la negazione stessa della nostra storia di Paese trasformatore. Nessuno si sognerebbe di definire falso un golf di filo realizzato da un’azienda italiana solo perché utilizza lana proveniente dalla Nuova Zelanda, o un ortaggio coltivato in Italia ma nato da sementi importate. Sostenere ideologicamente il primato di un Made in Italy più buono e sano perché ‘a Km zero’ nega due verità inconfutabili: non sempre la materia prima italiana è sufficiente in quantità o è di qualità adeguata. Il sistema dei controlli utilizzato dall’industria alimentare per garantire la sicurezza e la tracciabilità del prodotto è tra i migliori al mondo, con 1 miliardo di analisi di autocontrollo e investimenti di 2 miliardi di Euro all’anno”.