Bakery da red carpet

2701

I bilanci familiari quadrano con difficoltà, ma per le aziende del settore dolciario che hanno la qualità al vertice delle priorità e che hanno fatto dell’efficienza un credo, c’è spazio per crescere a ritmi di grande interesse.

Balocco frollini

Il dolciario è tra i molti settori colpiti dalla crisi; se alcune aziende soffrono, altre crescono fino a diventare degli esempi da imitare. Cosa fa la differenza? Ne abbiamo parlato con Alberto Balocco, 47 anni, piemontese, Presidente e Amministratore Delegato della Balocco Spa. Nel 2013 ha ricevuto il Premio Ernst & Young, come Imprenditore dell’Anno nella categoria “Food & Beverage”. Gli è stata riconosciuta la grande capacità di mantenere, nonostante la crisi internazionale, una crescita costante anno dopo anno, riservando un’attenzione particolare al territorio di appartenenza, alla qualità delle materie prime ed alle risorse umane.

Alberto Balocco
Alberto Balocco

MIGLIORAMENTO PERSONALE E CRESCITA AZIENDALE
Come è nata la sua azienda?
Come molte delle grandi industrie alimentari italiane deriva da un’attività artigianale. Nel 1927, mio nonno Francesco Antonio aprì a Fossano la sua prima pasticceria, presto seguita da una seconda. Nel dopoguerra, mio padre Aldo ripartì con i laboratori e qualche tempo dopo traghettò l’attività verso l’industria. Negli ’70 costruì ed inaugurò lo stabilimento di Via Santa Lucia, tuttora nostra sede. Oggi la Balocco SPA è ancora totalmente della nostra famiglia ed è guidata da me e da mia sorella Alessandra.

Come ci si prepara a diventare imprenditori di successo?
Credo sia fondamentale studiare e arrivare all’appuntamento ben preparati. Nel nostro caso, dopo il Liceo scientifico, ci siamo laureati in Economia e Commercio (io) e in Giurisprudenza (mai sorella), entrambe a Torino. Mio padre era figlio unico e sentiva un gran bisogno di qualcuno della famiglia che lo potesse aiutare. Per lui, azienda e famiglia sono sempre stati un tutt’uno e fin da piccolissimi ci ha sempre coinvolti e tenuti al corrente su quanto accadeva.  Ricordo che mentre mia sorella ed io frequentavamo le superiori, papà ci faceva spesso partecipare alle riunioni anche da semplici uditori. Il messaggio era chiaro, dovevamo crescere in fretta ed assumere quanto prima la nostra parte di responsabilità.

La laurea in Economia e Commercio è stata funzionale al dover presto lavorare in azienda o è stata una “passione” poi messa a frutto in azienda?
Entrambe le cose. Negli anni ’80, il nostro marchio era noto ed apprezzato al punto di suscitare l’interesse di alcune multinazionali. Papà, in effetti, aveva valutato la possibilità di vendere, non tanto perché l’azienda fosse in difficoltà, ma perché temeva per il nostro futuro. Aveva paura che, qualora fosse accaduto qualcosa a lui, noi non saremmo stati pronti a continuare. L’abbiamo convinto ad aspettare ed a darci la possibilità di studiare e maturare ancora un po’ prima di affrontare il mondo del lavoro. Abbiamo stretto con lui un patto: nel mio caso, avrei cercato di laurearmi in quattro anni – servizio militare incluso – e subito dopo sarei entrato in azienda. Grazie a Dio ho tenuto fede al mio impegno ed in effetti ho iniziato a lavorare a ventitré anni ed un mese.

Quanto ha inciso l’impronta familiare nel suo stile manageriale?
Tantissimo; vedere nostro padre dedicarsi giorno e notte alla sua attività, far sacrifici e stringere i denti per noi è stata una bella lezione di vita. Siamo stati educati all’insegna del valore della famiglia, del lavorar bene e con impegno, per centrare i nostri obiettivi.

I suoi figli stanno crescendo con gli stessi principi?
Cerco di trasmettere loro questi importanti valori, ma con una sostanziale differenza: mio padre si aspettava il nostro aiuto; i miei figli faranno ciò che riterranno giusto. Mia figlia maggiore frequenta il liceo e mostra già un certo interesse per l’azienda, gli altri sono ancora molto piccoli. Vedremo.