Quali elementi concorrono alla valutazione del cioccolato?
Il primo indicatore è l’etichetta, più è dettagliata, più il produttore è attento al proprio prodotto. L’etichetta di un cioccolato che evidenzi solo l’informazione “70% cacao” equivale all’etichetta di un vino che riporti solo la gradazione alcolica. Acquistando un vino si decide se lo si vuole bianco o rosso, fermo o mosso, nel Nord o del Sud. Lo stesso criterio si dovrebbe applicare al cioccolato. Le fave di cacao sono spesso classificate in base al solo Paese d’origine, si dovrebbero invece indicare anche varietà, piantagione, regione, località, data di raccolta e sequenza delle piante che hanno fornito le fave. Può sembrare eccessivo ma quando si rendono pubblici questi dati non si fa nulla di più di ciò che si fa per un vino di qualità.
Perché non viene fatto?
Per molti questi approfondimenti sono armi a doppio taglio. Chi usa cacao di bassa qualità e non ha interesse a comunicarlo, inoltre un’evoluzione in qualità del Paese d’origine significherebbe un aumento del prezzo.
Cosa considerare invece, in termini di caratteristiche organolettiche?
I parametri che definiscono l’aroma sono complessi; vi è una generale convinzione che il “fino de aroma “, sia il migliore, ma non è sempre vero. Per esempio, il cacao dell’Ecuador non è “fino de aroma” ma aromatico; se lavorato bene è gradevole, se lavorato male è sgradevole. Il colore del cioccolato conta poco, se si usa il cacao bianco, il più quotato al mondo, il cioccolato non potrà essere scuro; da alcune varietà asiatiche si ricava un cacao rosato che, se correttamente fermentato dà un cioccolato rossastro; se il cacao è potassato il colore del cioccolato è nero, ma non vuol dire che sia migliore, anzi! Il 90% del cioccolato ha tra gli ingredienti l’aroma vaniglia, aggiunta come vanillina o estratto naturale; il consumatore, abituato a questa nota se l’aspetta, non rendendosi conto che nasconde il vero gusto del cacao. La lucentezza dipende dalla qualità della lavorazione, un buon cioccolato deve essere lucido; è segno di freschezza.
Quale è il peggior difetto di un cioccolato?
Non sapere di nulla perché sono stati estratti tutti gli aromi gradevoli e sgradevoli.
Quali sono i passaggi più delicati nella produzione del cioccolato?
I cambi di forma fisica, la trasformazione degli aminoacidi in alcaloidi, la tostatura del cacao. Se condotti male, gli aromi cambiano e si perdono i principi nutraceutici. La produzione biodinamica consente di preservare i principi attivi e gli effetti curativi.
Cioccolato con le spezie o cacao usato come spezie?
Se negli anni ‘90 il cioccolato con peperoncino o cannella era il nuovo, oggi innovare significa preservare il sapore originale del cacao. Il cacao è ricco di principi medicamentosi ed il divenire ingrediente base del cioccolato era il suo destino più improbabile, perché è amaro, grasso, difficile da lavorare.
Il cioccolato è stato un enorme “equivoco culturale”.
Nelle mie preparazioni uso il cacao a fini nutraceutici. Se il piatto è ricco di colesterolo (salumi e formaggi) il cacao funge da colesterolo riducente; lo impiego per migliorare la digeribilità di alcuni alimenti o per aggiungere una nota aromatica insolita. Il burro di cacao è un grasso polinsaturo solido, assimilabile per proprietà nutrizionali all’olio di oliva, lo uso per insaporire, ungere, aumentare le calorie senza influire sul colesterolo. Non sopporto invece il cioccolato come ingrediente della cucina salata, è una forzatura soprattutto quando è vanigliato. È sbagliato, non ha senso.
Il cioccolato del futuro
Ritiene utile la ricerca per produrre un cioccolato fondente che resista ai climi caldi?
No. Il cioccolato per i climi caldi esiste già, è quello al latte. Per ottenere un fondente resistente ai climi tropicali è necessario sostituire l’abituale cristallizzazione fisica del burro di cacao con una cristallizzazione chimica che gli conferisca un’unica forma stabile. Rientriamo nella scienza pura, un aspetto che mi affascina, ma che è finalizzata al solo prodotto finito non alla materia prima di qualità.
Come sarà il cioccolato del futuro?
Nutraceutico. Oggi si acquista il cioccolato perché costa poco, è presente ovunque, piace. La sua presunta e talvolta vera pericolosità per la salute deriva dall’aggiunta di grassi diversi dal burro di cacao, zuccheri, aromi che portano ad uno scadimento nutrizionale. Per quanto finora accertato, il cacao tal quale avrebbe 360 plus nutrizionali e salutistici; quando è lavorato male i plus si azzerano; quando è lavorato bene, con le attuali tecniche empiriche ne restano non più di 20. Migliorando ulteriormente e standardizzando la lavorazione potremmo salvarne fino a 150 e impostando la fermentazione in una prospettiva nutraceutica potremmo determinare se avere più cisteine, feniletilamine, polifenoli, flavonoidi, anandamide o altri principi attivi ed avere quindi un cacao/cioccolato più adatti a chi ha problemi di colesterolo, ai depressi o ai cardiopatici ed ipotizzare una cura nutraceutica in sostituzione dei tradizionali farmaci. Molte delle ricerche fin qui condotte sono viziate dall’insufficiente controllo biochimico della fermentazione del cacao. Con il metodo B.M.P. vorrei arrivare a produrre stabilmente un cacao ad alto valore nutrizionale, utilizzabile dalle case farmaceutiche per proporre un cioccolato da acquistare perché buono, costa poco, si trova dappertutto e fa bene.
Un sogno nel cassetto?
Vorrei che il metodo B.M.P. fosse adottato anche dall’industria per arrivare ad una generale evoluzione e valorizzazione degli aromi e delle biodiversità. In sintesi vorrei riuscire a cambiare il mondo del cacao, perché il cacao possa cambiare il mondo.